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chiesavaldese.org - La «via crucis italiana» del crocifisso

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2009 21:34
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La «via crucis italiana» del crocifisso


Personalmente ritengo che la vista del crocifisso (anche se noi evangelici preferiamo la semplice croce nuda, perché Cristo non vi è rimasto sopra ma è risorto!) in noi cristiani di qualsiasi confessione, a prescindere dal luogo in cui sia esposto (o esposta), può suscitare un senso di grande e profonda gratitudine in quanto ci ricorda e ci rappresenta visibilmente il messaggio centrale dell’Evangelo: Gesù Cristo che ha dato la sua vita per la salvezza nostra e di tutti gli esseri umani. Ma appunto perché quel simbolo rappresenta proprio il centro, il cuore di questo messaggio, la sua esposizione non va imposta, così come l’Evangelo stesso dev’essere solo annunziato e testimoniato senza obbligare nessuno ad ascoltarlo. Perciò, secondo me, imporne l’esposizione nei luoghi pubblici, cioè di tutti, anche dei non cristiani, davanti a chi non vuole riceverne il messaggio, è una strumentalizzazione e un abuso che si fa di esso, coi vari pretesti che ben conosciamo. Questo mi lascia molto contrariato, perché mi sembra non solo una violazione della libertà della coscienza altrui, ma anche addirittura un oltraggio verso ciò che rappresenta quel simbolo, che in questo caso viene usato per affermare il dominio della Chiesa della maggioranza. D’altra parte, la lotta che fanno alcuni di quelli che vogliono che il crocifisso sia tolto dai luoghi pubblici in nome della laicità dello Stato mi fa pensare talvolta alla parola di Gesù su coloro che «colano il moscerino e inghiottono il cammello» (Matteo 23, 24), cioè se la prendono con i simboli del dominio clericale sull’Italia e non sul dominio stesso.
Agostino Garufi – Mestre

Chi fra i nostri lettori vuole ancora sentir parlare del crocifisso? Nessuno, presumo, dopo l’orgia di parole che se ne è fatta e i tanti spropositi che sono stati detti, di gran lunga più numerosi delle poche cose sensate che anche, qua e là, si sono sentite al riguardo. Tutti sanno, ormai, di che cosa si tratta: la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, su richiesta di una cittadina italiana, ha emesso una sentenza secondo la quale l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici (cioè negli spazi dello Stato, quindi teoricamente di tutti i cittadini, e non solo di chi comanda o della «maggioranza», silenziosa o rumorosa che sia) è discriminatoria nei confronti dei cittadini non credenti o diversamente credenti rispetto alla fede cristiana nella sua versione cattolica romana. Questa sentenza, ineccepibile e sacrosanta, ha scatenato in Italia una assurda bufera di indignazione e proteste, come se fosse in gioco il destino del nostro paese, e una prolungata polemica complessivamente penosa, spesso isterica e scomposta, non di rado sguaiata, come quando i leghisti hanno chiesto una (metaforica?) crocifissione dei membri della Corte europea, che i leghisti, nella loro cecità, considerano i peggiori nemici del crocifisso, mentre alla fine potrebbero essere annoverati tra i suoi pochi veri amici. Un altro suo amico fidato è senza dubbio il collega, pastore emerito Agostino Garufi, che mi aveva mandato, a titolo privato, questa lettera, in versione più ampia ma con lo stesso contenuto. Dopo averla letta, apprezzandone il valore, gli ho chiesto l’autorizzazione a offrila ai nostri lettori, perché mi sembra che contenga l’essenziale di un discorso cristiano sull’argomento e lo formuli molto bene. La condivido dalla prima all’ultima parola. Non ho nulla da togliere e ben poco da aggiungere. Solo un paio di considerazioni.

1. La pena maggiore, in tutta questa infelice vicenda, è stata vedere il crocifisso ridotto a significare l’esatto contrario di quello che significa, e quindi a essere completamente stravolto e snaturato. Per questo ho intitolato questa risposta: «La via crucis del crocifisso». La sua, in Italia è stata una vera e propria via crucis, una sua seconda crocifissione. Tanto che potremmo dire del crocifisso quello che Lutero disse del Padre Nostro, e cioè che, per il modo in cui è di solito recitato, è «il più grande martire sulla terra». Di questa paradossale, nuova via crucis – tutta italiana – del crocifisso, evocheremo alcune tappe.

[a] La prima (per limitarci alla storia a noi più vicina) è iniziata al tempo del fascismo, quando la gerarchia cattolica degli anni Venti, pur di ripristinare il crocifisso nelle aule scolastiche statali, accettò, con il consueto cinismo, che esso diventasse un pezzo dell’«arredamento scolastico», alla stessa stregua non solo del «ritratto del Re», ma anche del «calamaio», del «pallottoliere», della «carta geografica», della «lavagna e del gessetto bianco e a colori» e così via. Così risulta da una serie di circolari e ordinanze governative del 1922, 1924 (impone l’esposizione del crocifisso nelle scuole medie), 1926 (estende l’esposizione alle «scuole di ogni ordine e grado», e, con una circolare a parte del ministro Rocco, alle aule dei tribunali), 1928.(1) Come può un cristiano accettare che il crocifisso diventi «arredo»? Accettarlo significa aver completamente perso «il senso delle cose di Dio», come disse un giorno Gesù a Pietro, cacciandolo dalla sua presenza («Va via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio…» – Marco 8, 33). Il crocifisso declassato ad «arredo» è la prima «stazione» della sua via crucis italiana.

La seconda è il crocifisso visto come simbolo «della nostra identità», addirittura della nostra identità nazionale, da esibire, secondo il ministro La Russa, «con orgoglio»! Anche qui il significato del crocifisso è completamente travisato e capovolto nel suo contrario. Chiunque abbia anche solo un’infarinatura di cristianesimo sa perfettamente che il crocifisso è, sì, simbolo della nostra identità, ma non della nostra identità di italiani (o altro), bensì della nostra identità di peccatori! Anche l’apostolo Paolo dichiara di «non gloriarsi d’altro che della croce del Signor nostro Gesù Cristo», ma precisa subito in che senso: nel senso che «per me il mondo è stato crocifisso, e io sono stato crocifisso per il mondo» (Galati 6, 14). Che cosa significano queste parole, a prima vista «di colore oscuro»? Significano molto semplicemente che il mondo dell’uomo sicuro e orgoglioso di sé, della sua identità (appunto!), della sua storia, della sua stessa religione, delle sue performance morali, spirituali, civili, il mondo insomma del suo «io» dilatato a dismisura, è e resta «crocifisso», cioè defunto, superato, per Paolo e per quel mondo, e al suo posto c’è ora il mondo di Dio nel quale si entra diventando come piccoli fanciulli, cioè nascendo di nuovo mediante la fede in Cristo.
Come si vede, l’«orgoglio» di cui parla La Russa non ha nulla a che fare con il «vanto» di cui parla l’apostolo Paolo: entrambi si riferiscono al crocifisso, ma in due modi completamente diversi. Per entrambi il crocifisso è simbolo di una identità, ma si tratta di due identità che nulla hanno in comune.

La terza «stazione» della via crucis italiana del povero crocifisso ce l’hanno procurata i nostra cari «laici» – non tutti, a dire il vero (Corrado Augias, ad esempio, ha fatto eccezione), ma molti – i quali avrebbero dovuto, se fossero davvero laici, ricordarsi loro per primi e ricordare ai nostri parlamentari (che fingono di ignorarlo) e al nostro popolo (che forse l’ha dimenticato), che dopo la revisione del Concordato del 1984, quella cattolica non è più la religione dello Stato italiano, che quindi è costituzionalmente laico. Di conseguenza i locali dello Stato (scuole, aule giudiziarie, uffici pubblici) devono essere privi di simboli religiosi di qualunque genere. Queste verità elementari avrebbero dovuto quanto meno orientare i discorsi dei nostri «laici». Invece abbiamo dovuto assistere a considerazioni come quella dell’on. Bersani sul crocifisso come «simbolo inoffensivo» che non può disturbare o far male a nessuno, e che quindi può restare dov’è; o quelle di Marco Travaglio che, pur muovendo critiche pertinenti alle varie ragioni «pro crocifisso» e pur ricordando, molto opportunamente, che la croce «è, da duemila anni, uno "scandalo" sia per chi crede nella risurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione», conclude questi bei discorsi con la frase con cui inizia il suo articolo, che è questa: «Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nella scuole». Anche Massimo Cacciari, pur affermando che Gesù, se tornasse, sarebbe il primo a togliere i crocifissi dalle scuole e dagli altri luoghi pubblici, non ritiene, per motivi suoi, di dover fare altrettanto. Strani questi laici che, al momento buono, dimenticano di esserlo. Anch’essi quindi contribuiscono, a modo loro, alla via crucis italiana del crocifisso.

2. Ma c’è qualche motivo di consolazione e di speranza. In questa triste storia, che ha dimostrato ancora una volta quanto l’Italia sia spiritualmente e culturalmente lontana dall’Europa, e quanto la «sana laicità» promossa dal pontefice romano altro non sia, in realtà, che un’ennesima forma mascherata di clericalismo, si sono anche levate alcune voci cristiane o semplicemente civili di qualche laico superstite. Tra le voci cristiane c’è quella di un prete di Catania, che dice: «La croce non si appende, si carica sulle spalle per incamminarsi con essa dietro Gesù Cristo. Il Vangelo è una cosa seria». La teologa Marinella Perroni osserva che «senza la Bibbia il richiamo al crocifisso è ambiguo», che il modo in cui nel nostro paese s’è affrontata la questione dimostra che «l’Italia è la prima e ultima provincia del Vaticano», e che al posto delle polemiche sul crocifisso «servirebbe un discorso serio sullo stato della fede nel nostro paese». E le Comunità cristiane di base hanno apertamente lodato la sentenza di Strasburgo, ricordando che don Milani, nella sua scuola di Barbiana, tolse il crocifisso dalle aule dicendo: «Meno croci e più Vangelo».

Concludo, a proposito del crocifisso, con queste parole di Lutero scritte nel 1516 a un suo confratello monaco: «Dunque, mio caro fratello, impara [a conoscere] Cristo e lui crocifisso; impara a cantare le sue lodi e a dirgli, disperando di te stesso: "Tu, Signore Gesù sei la mia giustizia, io sono il tuo peccato. Tu hai preso su di te ciò che era mio, e mi hai donato ciò che è tuo. Tu hai preso su di te ciò che tu non eri, e mi hai regalato ciò che io non ero". Bada bene, fratello mio, che tu non aspiri un giorno a essere così pure, che tu non ti consideri più peccatore, anzi che tu non voglia più esserlo. Cristo però abita solo in mezzo ai peccatori».

_________________________
(1) I testi relativi si trovano nel libro, succinto ma succoso, di Clara Gallini, etnologa dell’Università «La Sapienza» di Roma, Il ritorno delle croci, manifestolibri, Roma 2009, pp. 115-122.

Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 27 novembre 2009

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