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CHE COSA SIGNIFICA "NON AVERE IL PASTORE" IN UNA CHIESA EVANGELICA ?

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2008 14:12
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DIFFERENZA TRA "PASTORE" ED "ANZIANO"
iN UN ALTRA SEZIONE CI SONO STATE DELLE SCHERMAGLIE POLEMICHE CON ALCUNI FRATELLI CATTOLICI A PROPROSITO DEL FATTO CHE AMBRA AFFERMAVA CHE NELLA COMUNITA' SUA (E MIA ...) CI SONO "ANZIANI" E NON "PASTORI". PROVOCATORIAMENTE E' STATO CHIESTO : MA DOVE STAI ? STAI IN UNA SORTA DI CHIESA DOVE NON C'E' NEMMENO UNA GUIDA, UN PASTORE, MA SOLO QUESTO "ANZIANO" CHE DICI TU ???

Bene , rispondiamo sinteticamente . "L'anziano" è un modo differente di chiamare il pastore ; sono all'incirca la stessa cosa solo che l'anziano della comunità (e qui non dobbiamo farciingannare dal termine perchè anziano può essere anche ilsoggetto di 40 anni d'età che sta nella fede e cura a Chiesa di Cristo già da 15 anni !!) guida , cura ed istruisce la comunità, il "gregge" ,  unitamente ad altre due o tre persone , anch'esse anziane, di uguale grado, autorità e responsabilità. Questa cosa è diffusa in molte chiese cristiane evangeliche (vedi ad esempio i Quaccheri) ed ha il vantaggio di non oberare una sola persona con gli incarichi dentro la Chiesa ersparmiare su uno stipendio fisso da corrispondere ad un unico pastore che si dovrebbe consacrare a tempo pieno alla cura della comunità (pastore che dovrebbe essere pagato poi dagli stessi fedeli della congregazione). Il termine greco per l'italiano "anziano" è "episcopo" dal quale si ricava pure l'italiano "Vescovo" che è l'equvalente di "pastore" . Speriamo che adessotutta la questione sia più chiara e che la sorella Ambra , il sottoscitto, ed altri fratelli e sorelle come noi non dobbiamo essere accusati praticamente di "anarchia ecclesiastica" da contrapporre all'accentarmento monocratco di altre Chies Cristiane o di altri gruppi.


Mario
Mario961


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Per me far parte della sinistra "dipietrista" è un grandissimo onore visto che tutto intorno è un mare di liquame !! Certo i dipietristi sono esseri umani come tutti gli altri e possono sbagliare ma hanno un pregio davvero raro di questi tempi : non tollerano le ingiustizie più gravi ! Non ci collaborano coi ladri, i bugiardi , i manipolatori ed i mistificatori !!! Con queste categorie di genete non scendono a compromessi (e qui non fare la vittima perchè non mi sto riferendo a te o ad amici tuoi o ad amiche tue - che non mi permetto di chiamare "signore Delete" benchè m'abbiano cancellato parecchi messaggi in questi ultimi tre anni su MSN - ma alla situazione politica generale dell'Italia ed al rapporto che c'è tra questa ed i "dipietristi" !!! Per quanto riguarda te non ti permettere più di parlarmi in questo modo perchè giuro che te la faccio pagare. Con me stai molto, ma molto attento e cancella tutti i miei numeri di cellulare che t'ho dato come io ho cancellato i tuoi. Buongiorno signor "mipiangoaddosso"  (opposto al tuo signor "Delete" ....giusto ?!) !!!


Mario

Mario961


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Pastori o Anziani?
Anche noi Testimoni di Geova, come ben saprete chiamiamo i nostri Pastori Anziani e i nostri Vescovi Sorvaglianti!
Usiamo "Anziani" da"presbitero" termine più arcaico ancora usato da tanti, e "Sorveglianti" dal più arcaico "Episcopo" che traslitterato in italiano diventa "Vescovo"! Ossia un'altro modo di dire esattamente la stessa cosa!
Vorrei invece tanto conoscere il significato di "prete" e di "monaco" e simili...indagherò! [SM=g10629] Potremmo aprire una sezione sulle etimologie dei nomi religiosi ed anche di quelli biblici, che ne dite? [SM=g8425]
[Modificato da Cielys 24/11/2008 01:34]
Celya Cielys
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Il presbitero (dal greco πρεσβύτερος, presbyteros; e dal latino presbyter, da cui deriva il più comune termine prete), letteralmente "anziano", è nella Chiesa cattolica e in altre chiese cristiane un ministro religioso che presiede il culto, guida la comunità cristiana, e annuncia la parola di Dio.

Rappresenta il secondo grado dell'ordine sacro (diacono, presbitero, vescovo).

Nella chiesa antica

Si comincia ad usare la parola "presbitero" per riferirsi alle guide della chiesa già nel tempo del Nuovo Testamento. San Pietro, nella sua prima lettera afferma:

 « Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce. »   (1 Pietro 5,1-4)

Il testo esprime la coscienza che il servizio del presbitero è una funzione del tipo del pastore, cioè della guida del popolo di Dio.

Al tempo stesso il testo ci fa intuire che nel II secolo il termine non aveva il significato tecnico che ha oggi che indica il secondo grado del sacramento dell'ordine, ma si riferiva in forma più ampia al ministero di guida della chiesa: di fatto Pietro, che nella visione odierna chiameremmo vescovo e papa, si riferisce a sé come "presbitero come gli altri presbiteri".

Nelle lettere di Sant'Ignazio di Antiochia († 107) troviamo per la prima volta la tripartizione vescovo, presbiteri, diaconi, nella forma in cui ancora oggi è praticata nella chiesa cattolica. In essa l'episcopato ha forma "monarchica", cioè il vescovo è la guida assoluta della comunità a lui affidata, e i presbiteri sono suoi fedeli collaboratori, attaccati a lui "come le corde alla cetra" (lettera agli efesini 4,1).

Nel Nuovo Testamento Paolo, quando scrive a Tito (1,5-9) parla dell'organizzazione della Chiesa citando anziani, vescovi e diaconi, nel definire le qualità richieste a questi responsabili ne esalta le caratteristiche di buon marito e padre di famiglia; non fa riferimento al celibato, che fu introdotto per i vescovi, e nella chiesa d'occidente anche per i presbiteri, dopo alcuni secoli.

Nella prima lettera a Timoteo (3:1-12) oltre a vescovi, presbiteri ed in parallelo con i diaconi Paolo cita le donne, richiedendo che Allo stesso modo le donne siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto; queste donne avevano probabilmente il ruolo di diaconesse ma è dubbio se il loro servizio fosse ministeriale o ordinato (l'ufficio delle diaconesse fu certamente dichiarato non ordinato nel primo concilio di Nicea, vedi la voce diaconessa).

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Il monachesimo (dal greco monachos, persona solitaria) è un modo di vivere la propria religiosità, caratterizzata da alcune rinunce agli interessi terreni (=mondani), per dedicarsi in modo più completo all'aspetto spirituale coinvolgendo la propria esistenza.

Il Monachesimo ed i monasteri come culla della civiltà occidentale [modifica]

Proprio quando l’invasione longobarda aveva reso più tragiche le condizioni delle popolazioni romane dell’Occidente travolte nella grande catastrofe dell’Impero, andarono prendendo sempre maggiore vigore le istituzioni ecclesiastiche e religiose che, nell’orrore del primo medioevo barbarico, dovevano rivelarsi come le forze costruttive più efficaci della nuova civiltà. Tra esse il monachesimo, nei secoli che vanno dal IV all’VIII, è forse la più importante.

Il concetto di Monachesimo Europeo proviene dal Medio Oriente; infatti l’ascetismo religioso e la vita monastica non sono peculiari del Cristianesimo, ma rappresentano forme in cui l’anima ha cercato in ogni tempo di tradurre la propria sete del divino. Nel IV secolo, in Egitto, in Palestina e in Siria, sulla scia di Antonio il Grande e di altri Padri del deserto, si fecero sempre più numerosi coloro che abbandonavano completamente il mondo per vivere nella solitudine (eremos, da cui il termine di eremita, per indicare gli asceti viventi nel deserto) oppure per associarsi insieme in conventi o cenobi (dal termine greco coinobios, indicante vita in comune), onde ricercare una comunione più intensa con Dio ed innalzarsi verso la santità. In ambito cristiano, Antonio è considerato l'iniziatore della via eremitica e Pacomio di quella cenobitica.

I monaci nell'Europa Orientale si davano con fervore, talora rasentava la frenesia, ad intense pratiche ascetiche (dal greco aschesis= esercizio), le quali univano alla preghiera ed alla meditazione ogni sorta di mortificazioni della carne, talora durissime o stravaganti addirittura, come l’astensione dal cibo, dal sonno o dal lavarsi per periodi più o meno lunghi, oppure l’infliggersi flagellazioni e torture. Tra questi, particolari furono gli stiliti e i dendriti che trascorrevano la loro vita rispettivamente su una colonna e su un albero.

Il monachesimo rappresentò in sostanza una grande rivolta dello spirito autenticamente cristiano contro il pericolo di mondanizzazione della Chiesa. Come tale, esso costituì per secoli la grande riserva di forze spirituali della Chiesa ed ebbe importanza storica decisiva nello sviluppo della civiltà cristiana nel mondo mediterraneo.

Monachesimo europeo

Dopo il IV secolo il monachesimo cominciò a diffondersi in Occidente: San Girolamo a Roma, sant'Agostino in Africa, san Severino nel Norico, san Paolino a Nola, san Martino e san Giovanni Cassiano nella Gallia si fecero promotori dell’ideale monastico (sull'esempio di quello orientale) e monasteri famosi sorsero nel V secolo a Tours e ad Arles ad opera dei vescovi S. Cesario e S. Aurelio (autori di importanti Regole).

Cassiodoro, il ministro di Teodorico, fallita la sua politica di fusione tra Romani e Goti, abbandonò la corte gotica, si rifugiò nei suoi possedimenti nella natia Calabria e fondò un monastero a Vivarium, in cui trascorre gli ultimi anni della sua vita.

A dare al monachesimo del cristianesimo cattolico la sua particolare fisionomia, romanamente costruttiva, operosa, in confronto a quello del cristianesimo ortodosso contemplativo, ascetico, anarcoide, fu però un giovane, discendente da una famiglia della piccola nobiltà provinciale dell’Umbria: San Benedetto da Norcia (480-543). Ritiratosi a vita eremitica a Subiaco, San Benedetto aveva veduto crescere attorno a sé un gruppo di seguaci, insieme ai quali, trasferitosi successivamente nelle vicinanze di Cassino, aveva fondato il monastero di Montecassino, il più importante centro monastico dell’Occidente.

All’incirca negli stessi anni in cui i giuristi bizantini, per ordine di Giustiniano, lavoravano alla grandiosa sistemazione del diritto civile romano nel Corpus iuris civilis, San Benedetto gettava le fondamenta della nuova società monastica, con la compilazione della sua Regola.

La regola benedettina è informata tutta al robusto spirito pratico dell’antica Roma, fondendolo armonicamente con la spiritualità cristiana. I monaci benedettini non debbono essere soltanto dei contemplanti: il loro motto dovrà essere ora et labora. Né saranno incoraggiati sulla strada, per alcuni versi più estrema, dell’ascetismo ortodosso. Una nota di serenità interiore, di equilibrio, di saggezza profonda, pervade tutte le pagine di questa regola, che fu scritta originariamente per il solo monastero di Montecassino, ma si rivelò talmente piena di universale capacità normativa, cioè di quella capacità giuridica, che aveva fatto la grandezza degli antichi Romani, da venire adottata dovunque, come regola per eccellenza del monachesimo cattolico.

Mentre in tutto il mondo circostante infuria la tempesta barbarica, i monasteri benedettini creano un nuovo tipo di società basata, anziché sul concetto romano della proprietà privata, su quello cristiano della solidarietà collettiva.

I monaci coltivano le terre circostanti al monastero, o almeno le fanno coltivare dai propri coloni, difendendole dall’abbandono e dall’inselvatichimento. Attorno a loro, si raggruppano in cerca di protezione famiglie coloniche, che trovano rifugio all’ombra del convento.

Il monastero diventa così il centro di un piccolo mondo economico auto-sufficiente; anche i prodotti artigianali od industriali necessari alla sua esistenza vengono prodotti al suo interno da monaci o da servi ministeriales dipendenti dal convento. Il sovrappiù della produzione viene posto in vendita; così, non di rado, attorno al convento sorge anche un centro di scambi commerciali, un mercato, una fiera. Proprio nel corso dell’VIII secolo si ebbe nell’economia dell’Italia longobarda un'accentuata tendenza alla formazione di immense proprietà fondiarie, concentrate nelle mani dei grandi signori laici o delle chiese. Parte cospicua di questa concentrazione della proprietà andò a vantaggio dei grandi monasteri benedettini, accrescendone l’importanza. In linea di principio, almeno, i beni degli enti religiosi erano inalienabili e gli abati dei monasteri erano spesso amministratori più capaci dei primitivi signori longobardi.

Ciò condusse alla diffusione di nuovi sistemi di conduzione dei fondi, che molto giovarono alla graduale ricostruzione della ricchezza fondiaria. Tra questi da citare i contratti di livello (così detto dal libellum sul quale stavano scritti i patti del contratto), per cui un fondo veniva ceduto in uso ad un coltivatore, in cambio di un canone, per lo più in natura, o quelli di enfiteusi, per cui un fondo era ceduto per lunghissimo tempo ad un minimo canone annuale, a patto che il coltivatore vi introducesse delle migliorie. Così al cupo spopolamento dei secoli precedenti cominciò a subentrare una maggiore densità di coltivatori nelle campagne, unita ad una rinascita delle colture specializzate, come quella della vite e dell’olivo, in luogo del pascolo e della cerealicoltura estensiva.

In mezzo ad un’età di sovrani analfabeti e di pauroso regresso della civiltà verso i limiti inferiori della primitività, nei monasteri benedettini gli amanuensi infaticabili, negli scriptoria, continuano a copiare le opere degli scrittori antichi cristiani e pagani. Convivono, quindi, pacificamente, insieme bevono alla fonte antica della civiltà, del sapere della mitezza dei costumi, Romani e Barbari, affratellati dalla comune fede, dalla comune obbedienza alla Regola. I grandi monasteri benedettini rimangono, per tutto il Medioevo, come centri di luce in mezzo alla tenebra circostante.

Accanto a quello sempre più cospicuo di Montecassino, sorsero sempre più numerosi monasteri, fra cui emergono per importanza quelli di Nonàntola nell'Emilia, di Farfa nella Sabina, di San Vincenzo al Volturno nell’Italia meridionale, della Novalèsa in Val di Susa. Questi cenobi accolsero tra le loro mura tanto latini che barbari, favorendo la fusione dei due popoli, mantennero in vita le tradizioni culturali dell’antichità e del cristianesimo, operando potentemente a diffondere la civiltà tra i Longobardi.

Un cenno a parte meritano i Cistercensi, un ordine di monaci dediti alla beneficenza, e quello dei Templari, che insieme ai Cavalieri di Malta, ad i Cavalieri Teutonici ed agli Ospitalieri, ha carattere militare.

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