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Religioni di popoli coltivatori primitivi

Ultimo Aggiornamento: 22/02/2009 22:27
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RELIGIONI DI POPOLI COLTIVATORI PRIMITIVI

Certamente uno dei più profondi e decisivi rivolgimenti della storia umana prese inizio quando qualche gruppo umano passò dal sistema della semplice appropriazione ' di quanto la natura offriva bell'e pronto, a una qualsiasi forma della produzione degli alimenti. Come e quando (nelle sue prime forme, forse sporadiche e marginali) ciò sia avvenuto, resta per ora assai problematico. È ancora in discussione anche la questione, se la prima forma di produzione alimentare fosse l'allevamento di bestiame o la coltivazione della terra. La prima ipotesi trova tuttora difensori che, tra l'altro, si richiamano a quei casi di quasi impercettibile passaggio dalla fase della caccia a quella della pastorizia, il cui esempio più importante ci viene fornito da certi popoli delle zone artiche e subartiche, dove accanto alla caccia alle renne esiste anche l'allevamento di renne, ma anche una forma che a buon diritto si considera come intermedia: quando cioè un popolo segue le migrazioni delle renne, rimanendo con esse in continuo contatto e sfruttandole, quasi fossero i loro armenti. Ma è stato fatto notare che l'esempio non ha valore di prova, perché da alcuni indizi (come p. es. la poca domesticità anche delle renne allevate e la mancata differenziazione di queste dalle renne selvatiche -mentre gli animali da lungo tempo allevati assumono caratteri particolari che li distinguono dalle specie selvatiche da cui derivano) risulta che la addomesticazione delle renne è un fatto relativamente recente, probabilmente suggerito dalla vicinanza di popoli allevatori di altro bestiame (equino c bovino). Sembra, inoltre, che l'allevamento del bestiame grande (bovini, cavalli, cammelli, ecc.) sia più recente (forse cronologicamente non anteriore alla formazione delle prime civiltà superiori!) dell'allevamento del bestiame piccolo (polli, cani, maiali) che, a sua volta, presuppone già quella vita sedentaria che solo la coltivazione della terra rende possibile. Comunque sia, per la questione delle origini, -e in questioni del genere è assai difficile arrivare a un" ultima parola' -nella realtà etnologica si conoscono sia casi in cui un popolo prevalentemente allevatore di grande bestiame (e quindi, in un certo grado, nomade) si è fatto sedentario e coltivatore, sia casi in cui dal seno di una popolazione coltivatrice un gruppo si è staccato per dedicarsi esclusivamente, o quasi, alla pastorizia. Ad ogni modo, i popoli coltivatori rappresentano la stragrande maggioranza dell'attuale umanità primitiva, mentre i popoli pastori puri sono piuttosto delle eccezioni.
Per i primordi della coltivazione non si possono fare che ipotesi: probabilmente non si saprà mai come a un gruppo umano, sul finire del paleolitico, si sia rivelata la possibilità e si sia imposta la opportunità di coltivare certe piante alimentari, anziché semplicemente raccogliere quelle che esistevano nella natura selvaggia. Che anche i cacciatori-raccoglitori conoscano e, a volte, si riservino come proprietà' certe zone fertili di prodotti vegetali e vi ritornino periodicamente; che essi si preoccupino di non sfruttare tutt'in una volta fino all'ultimo le risorse di tali zone, sapendo che dalle radici e frutti lasciati sul posto ì vegetali si riprodurrebbero nella stagione successiva; che, immagazzinando i vegetali alimentari, essi possano osservare la germinazione di questi. Tutto ciò non ci spiega sufficientemente né perché a un certo momento un gruppo umano abbia scoperto e adottato la coltivazione, né perché prima esso stesso e molti altri per centinaia di millenni non l'abbiano fatto.
Non è difficile immaginare le profonde trasformazioni delle forme dell'esistenza e, quindi, della civiltà, dovute al passaggio alla coltivazione; anzitutto, questa permette e, anzi, rende necessaria una vita sedentaria (anche là dove i mezzi tecnici non permettono di sfruttare continuamente la stessa terra: la maggior parte dei popoli primitivi, ignari dell'aratro, spesso anche della concimazione e della irrigazione, sfruttano solo la superficie del terreno che rapidamente si esaurisce, di modo che essi devono cercare -ma sempre nelle vicinanze -volta per volta nuovi terreni in cui piantare o seminare); ora, mentre il nomadismo induce l'uomo a non fabbricare nulla che sia difficile trasportare, la vita sedentaria permette e promuove lo sviluppo dell'artigianato; mentre il nomadismo è praticato più facilmente da gruppi ristretti, la coltivazione permette la formazione di agglomerati umani più estesi; questi, d'altra parte, richiederanno un'organizzazione sociale di diverso tipo. Ai mutati bisogni, condizioni, possibilità, rispondono importanti mutamenti nel modo di vedere e di concepire l'esistenza e, quindi, anche nella religione.


GLI ARAPESH

Con il nome ' Arapesh' si indica, negli studi, un popolo della Nuova Guinea nord-orientale, che non ha una precisa coscienza di essere un popolo; arapesh, nella sua lingua, significa semplicemente “uomo “. Gli Arapesh vivono in tre fasce di terra contigue e parallele, una costiera, una montana e una, interna, di pianura. Margaret Mead (Anthropological Papers 36/3, 1938 e 37/3, 1940) ha studiato da vicino gli Arapesh montani per i quali valgono, dunque, i dettagli di quanto segue e principalmente il loro più grande vilJaggio, Alitoa, dove in 28 case vivevano 87 persone (mentre esistono altri villaggi di appena 5-6 case). L'unità sociale fondamentale degli Arapesh è la gens patrilinea e localizzata; ma, salvo per l'alimentazione, nessun gruppo è autosufficiente; i legami tra i gruppi sono costituiti dal commercio, dai matrimoni e dalle cerimonie inter-villaggio. L'economia -come in una larghissima zona oceaniana -è fondata sulla coltivazione di tuberi e di alberi fruttiferi (taro, igname, sago, banana, noce di cocco), sull'allevamento di maiali e, in parte, sulla caccia. Agli Arapesh montani la vita faticosa e la scarsa alimentazione non permettono di dedicarsi anche ad altre attività, e perciò essi devono procurarsi tutto ciò che occorre loro al di fuori del cibo -armi, utensili, vestiario, ecc. -per commercio. Il commercio consiste in uno scambio di doni, ma in una forma istituzionale del tutto particolare: ogni singola famiglia ha la propria • strada ' tradizionale che si estende sia fino alla costa sia fino alla pianura interna: ognuna di queste ' strade ' riservate a singole famiglie attraversa abitati in cui vivono persone con cui la famiglia montana è in un rapporto speciale sanzionato come' fratellanza ' ; un giovane, appena iniziato, viene portato dai suoi sulla strada tradizionale e presentato ai 'fratelli ' da cui riceve doni che inaugurano i futuri scambi.


Ragazzi Arapesh suonano il flauto , a destra Margaret Mead

La religione - L'esistenza degli Arapesh è largamente determinata dall'osservazione di un gran numero di tabu. I cibi stessi sono divisi in due categorie: quelli che sono tabu per gli adulti in età riproduttiva e riservati perciò ai bambini e ai vecchi, e gli altri destinati, al contrario, ai soli adulti. il più importante tabu è però quello che proibisce -sullo stesso piano e includendoli nel medesimo concetto -l'incesto sessuale e il consumo dei prodotti propri: esattamente come nessuno deve aver contatti sessuali con la propria madre o sorella, cosi non deve mangiare del maiale che ha allevato, della selvaggina che ha uccisa, dell'igname che ha coltivato. Questo tabu fondamentale ha per effetto che nella società Arapesh tutti vivono di doni e nessuno può fare a meno della cooperazione collettiva. La cooperatività e la pacifica convivenza costituiscono una caratteristica saliente della civiltà degli Arapesh. Contrapposti al , buon luogo' che è il villaggio in cui regna questo spirito pacifico, i dintorni scoscesi e accidentati del villaggio sono il ' cattivo luogo ': qui vengono relegate le capanne per le mestruanti e le partorienti, le latrine pubbliche e, in generale, tutto ciò che potrebbe contaminare il villaggio. Ma fuori del villaggio vivono anche quegli esseri extra-umani che -con un termine pidgin adottato per concetti simili di tutta l'area culturale -vengono chiamati marsalai. A questi si attribuiscono forme animali più o meno fantastiche (serpente a due teste e di colore insolito, altre forme di animali ma con una sola gamba, ecc.). I marsalai sono localizzati in determinati punti del non-abitato; ciascuno di essi, oltre la propria dimora, ha anche un proprio nome, un aspetto ben definito e qualche caratteristica particolare (p. es. uno punisce con una determinata malattia, l'altro con un'altra, ma la maggioranza con disastri meteorici); vi sono, inoltre, due grandi marsalai, della terra (in forma di vipera) e del mare (in forma di dugong), che producono l'arcobaleno. Ora, i marsalai sembrano ben distinti, nella concezione Arapesh, dagli antenati: tuttavia, essi sono legati alle singole gentes. I vivi sono ospiti effimeri sulla terra degli antenati, ciascuna gens su quella dei propri antenati, dove però abita anche il proprio marsalai; nessuno può cacciare sul territorio di una gens diversa dalla sua, se non viene ritualmente presentato da un membro di essa al marsalai e agli antenati. I marsalai puniscono gli estranei che cacciano nel loro territorio, puniscono le donne mestruanti o incinte che vi entrano e puniscono infine - ciò che mostra un ulteriore legame tra marsalai e antenati - coloro che trascurano le offerte agli antenati, mentre possono esser placati, appunto, con offerte agli antenati.


Maschere sciamaniche Arapesh

Oltre ai tabu costanti, gli Arapesh ne osservano alcuni severissimi, ma temporanei che entrano in vigore nei momenti di particolari ' crisi 'i quando questi vengono ritualmente sciolti, alcuni altri continuano ad esser osservati {ma al termine della lunazione nel corso della quale la crisi si è verificata; ma in certe occasioni anche dopo lo scioglimento di tali tabu ' lunari' si continuano ad osservare altri fino al successivo germogliare dell'igname coltivato. Queste ultime occasioni sono legate alla vita sessuale. Il ragazzo comincia ad osservare i tabu immediati, quelli della lunazione e quelli dell'igname al momento in cui gli spuntano ì peli del pube; la ragazza, quando nota che i suoi seni cominciano a gonfiarsi ; successivamente, il maschio li osserverà -ma solo fino al termine della Iunazione -in occasioni come la sua iniziazione, la nascita di un suo figlio, ecc., la femmina per ogni mestruazione. La vita sessuale ha un notevole rilievo nelle istituzioni religiose degli Arapesh. Osserviamo qui un'istituzione maschile, diffusa in un'area adiacente abbastanza larga, che ha un indiscutibile nesso con il sesso, dato che consiste in un determinato trattamento dell'organo genitale, anche se non tutte le funzioni attribuitele dagli Arapesh riguardano direttamente il sesso: si tratta di incisioni praticate sull'organo genitale da cui si lascia scorrere abbondante sangue. I maschi Arapesh cominciano a praticare quest'uso sin dall'età infantile, ad imitazione dei più grandi; le occasioni normali in cui l'uomo Arapesh vi ricorre, sono le seguenti: prima di aver contatti con la moglie; dopo il primo contatto; in caso di trasgressioni di norme sessuali; ma poi anche: dopo esser stati a contatto con un cadavere; dopo aver ucciso; dopo aver preparato una di quelle maschere che sono conservate nella Casa tamberan' (v. sotto ). Il rito assume dunque una funzione genericamente purificatrice.


Mundugumor, portafortuna Arapesh

Altrove -p. es. nell'isola Wogeo, presso la costa della Nuova Guinea, -quest'uso si concepisce come il surrogato maschile della mestruazione: ogni individuo ha sangue maschile e femminile nelle vene; la donna si libera in via naturale del sangue maschile, l'uomo deve liberarsi in questa maniera artificiale del sangue femminile: ma si noti che in caso di simili concezioni spesso si tratta di interpretazioni secondarie di un'istituzione tradizionale e l'opinione corrente a Wogeo non necessariamente spiega l'uso né presso gli Arapesh, né a Wogeo stessa; ad ogni modo, anche presso gli Arapesh si incontra la concezione secondo cui in ogni individuo c'è una parte materna e una patema: nei primi due mesi di gravidanza della moglie, i coniugi intensificano i rapporti sessuali, perché l'uomo deve contribuire alla formazione del bambino dopo questo periodo, il bambino è considerato come formato e deve solo nutrirsi. È significativo, in questo contesto, che al momento dell'iniziazione -v. sotto -il giovane deve bere sangue degli uomini già iniziati, cioè sangue pienamente maschile.


Bambini Arapesh

La tendenza a una differenziazione religiosamente sanzionata tra i sessi si esprime in modo particolare in quel complesso di istituzioni maschili che con un altro termine usato per tutta l'area si designano come tamberan. Questo termine ha un senso più largo di quello della parola con cui gli Arapesh stessi indicano tre cose per noi assai differenti: la persona specializzata che nelle iniziazioni incide l'organo genitale dei giovani, i flauti sacri e le maschere conservati nella ' casa tamberan ' (una forma della 'casa degli uomini '). La base delle istituzioni indicate come tamberan è costituita dalle iniziazioni maschili (quelle femminili pare manchino: i riti di passaggio legati alla menarche sembrano avere un carattere privato). Le iniziazioni si celebrano in due forme distinte: individualmente per ciascun ragazzo che abbia raggiunto l'età richiesta, e poi, ogni 6-7 anni, collettivamente, quando vi sono già 30-40 ragazzi pronti a subirle. Anche nella forma individuale il ragazzo viene segregato da tutte le donne, sotto sorveglianza di qualche anziano; viene operato dall'incisore specialista che è chiamato 'casuario' (e nel rito collettivo si traveste, anche, da casuario); subisce fustigazioni con ortiche; beve il sangue raccolto dalle vene di diversi anziani; gli viene rivelato che il tamberan, la cui voce finora era da lui creduta di origine sovrumana, non è che un gruppo di flauti conservati nella casa tamberan (e che hanno, dunque, la stessa funzione che altrove ha il rombo); all'uscita dalla segregazione egli viene picchiato nel petto dal fratello della madre, a simbolizzare la sua nuova posizione rispetto alla famiglia materna cui l'iniziazione lo sottrae; egli deve offrire un banchetto a questo zio materno, quasi per compensazione. Le iniziazioni collettive hanno il medesimo schema fondamentale, ma la segregazione avviene in un recinto appositamente costruito, gli iniziandi devono correre tra gruppi di giovani iniziati che Ii picchiano, i segreti che vengono rivelati sono più numerosi e comprendono p. es. le maschere e l'arte dell'intagliare il legno; tra gli iniziati dello stesso turno -che lasciano in forma solenne, e ben ornati, il luogo di segregazione -s'instaura uno stabile rapporto di solidarietà che si manifesta anche in reciproci doni di maiali. Vi sono occasioni in cui tutta la comunità dei maschi iniziati agisce collettivamente: tra queste occasioni figurano p. es. la costruzione di una nuova casa tamberan, o certi banchetti a base di carne offerti ai suona tori dei flauti e dei gongs, l'imposizione solenne di tabu su certi prodotti alimentari, e singolari azioni disciplinari con cui si procede contro personaggi importanti che si siano comportati in maniera antisociale. Figurativamente si parla anche di un ' tamberan delle donne' che comprende i riti femminili da cui gli uomini sono rigorosamente esclusi.
Oltre al sesso, è il cibo che occupa un posto preminente nella religione Arapesh: basti ricordare quanto si è già detto intorno ai tabu che riguardano soprattutto l'alimentazione. L'igname che oggi costituisce solo una modesta parte dell'alimentazione-base, sul piano religioso conserva un prestigio che forse testimonia di una sua antica importanza maggiore: la coltivazione dell'igname ha il suo mito delle origini (una donna, quando va a prender acqua in un determinato luogo, si trasforma sempre in casuario; avverte poi i figli che in quel luogo passa sempre un casuario; questi mettono lì una trappola e la loro madre-casuario vi rimane presa; dopo giorni di attesa per la madre, i figli capiscono l'accaduto, si recano alla trappola e seppelliscono la madre; riesumandone le ossa dopo due mesi, notano che esse stanno germogliando; a questo punto, il mito racconta minuziosamente le operazioni che si compiono per piantare i tuberi e poi quelle del raccolto dell'igname spuntato dalle ossa della donna: "da allora" la gente coltiva e mangia l'igname); la coltivazione dell'igname è rigorosamente riservata agli uomini ; inoltre, gli Arapesh -che oggi piantano e raccolgono

l'igname in qualsiasi stagione -hanno un ' calendario' fondato sulle fasi della coltivazione dell'igname, che prevedeva lavori strettamente stagionali. L'importante cerimonia, detta abullu, organizzata da un singolo individuo, prevede tuttavia una partecipazione collettiva: essa consiste in primo luogo nell'esposizione degli ignami prodotti dal datore della festa, accatastati in un ordine particolare e dipinti; in questa occasione vengono eseguiti determinati canti e danze ' abullu ' -riservati esclusivamente a questa cerimonia -per i quali è da osservare che, nel canto, la melodia è obbligata, mentre le parole vengono improvvisate volta per volta e quasi sempre si riferiscono alla morte recente di qualche persona, ciò che sembra collegarsi a quel nesso che nelle civiltà coltivatrici spesso appare tra la morte e la fertilità agraria. L'igname accatastato è per gli ospiti e non per il datore della festa: tuttavia, è quest'ultimo che prima della celebrazione è sottoposto a gravosi tabu temporanei e, dopo, deve subire un complesso rito di purificazione ed entrare in un nuovo stato di tabu simile a quello che grava sui genitori dopo la nascita di un bambino, e che viene sciolto con un pasto rituale, lasciando in vigore solo alcuni tabu “lunari”.
Nel rito di purificazione che conclude l'abullu, il datore della festa è assistito e guidato da un'altra persona che ha già dato, in passato, il proprio abullu . Ciò, però, non è che un esempio di una regola generale dei rituali di passaggio presso gli Arapesh: ognuno che debba risolvere ritualmente una situazione di crisi si affida all'aiuto di una persona che abbia già attraversato la medesima situazione critica: alla donna partoriente presta assistenza -sia nella parte tecnica della levatrice, sia in quella rituale che si concentra sull'imposizione di tabu ai genitori -una donna che abbia già partorito, agli iniziandi un iniziato e perfino nel rito di purificazione cui deve sottomettersi un omicida vi è bisogno dell'opera di una persona che precedentemente abbia ucciso e si sia purificata.

Quanto alla mitologia Arapesh, non si è accennato finora che al mito delle origini dell'igname; anche questo, del testo, ha un'altra variante secondo cui ' in un tempo' la gente mangiava solo schegge di legno, ma una donna-casuario tirò fuori da sotto la pelle gli ignami. Tutti i fattori fondamentali dell'esistenza degli Arapesh hanno il loro mito: cosi p. es. l'allevamento dei maiali; 'in un tempo' i maiali domestici avrebbero complottato con i maiali selvatici per impossessarsi degli uomini e avrebbero fatto esattamente gli stessi preparativi per , legare' gli uomini che oggi gli uomini fanno per legare i maiali; ma un matsalai rivela agli uomini il progetto, e perciò questi, non appena i maiali tornano a casa, li legano e li regalano agli amici; conseguenza di quest'incidente rnitico è che' da allora' gli uomini devono regalare i maiali una volta legati, senza mangiarne, e che i maiali selvatici che -vista la piega presa dagli avvenimenti -non si sono più avvicinati per dar man forte ai compagni domestici, sono tuttora nel bosco e bisogna andare a cacciarli. Così anche il rapporto tra marsalai e donne mestruanti: un marsalai adirato distrugge tutto il paese, ma, fortunatamente, una donna mestruante si trova fuori del paese (nella capanna mestruale), dove la sua segregazione è condivisa, secondo l'uso, da un fratello minore impubere del marito; essi formeranno la prima coppia da cui l'umanità si ricostruirà mentre se le norme non fossero state osservate, l'umanità non esisterebbe più. I tabu mestruali e, in generale; femminili sono fondati anche dal racconto secondo cui una volta un uomo s'impossessò del grembiule (femminile! ) di un casuario che con gli altri casuari faceva il bagno; cosi, mentre questi altri se ne andavano, il casuario senza grembiule restò con l'uomo che lo portò a casa per sposarlo; ma il casuario non era una vera donna, e per renderlo completamente tale, l'uomo dovette sottoporIo a tutti i riti che la ragazza Arapesh deve subire, al momento della menarche, per diventare una donna. Gli Arapesh hanno, inoltre, una lunga serie di racconti su un popolo fantastico -la gente di Sabigil -che, a prima vista, appaiono favole semplicemente divertenti. A osservarli meglio, gli inganni (p. es. quando un uomo di Sabigil persuade un altro che il miglior modo di pescate è di bere l'acqua di un fiume e di raccogliere poi i pesci rimasti in fondo, ciò che l'altro tenta di fare ma scoppia dalla troppa acqua bevuta), le avventure oscene e comiche e, d'altra parte, i poteri sovrumani di cui la gente di Sabigil dispone, nonché qualche sporadico atto fondatore, ricordano troppo da vicino i miti dei tricksters d'altri popoli, per non accorgersi della funzione identica di quelle favole a quella di questi miti: l'unica differenza -che, cioè, nei miti di trickster più noti si tratta di un unico personaggio, mentre la' gente di Sabigil ' è una pluralità di persone -risulta, perciò, inessenziale.


GLI AO-NAGA


Bambina Naga

I Naga sono un gruppo di popoli che abitano nei monti che da Est delimitano la pianura dell'Assam (India): essi sono stati studiati soprattutto dagli anni '20 in poi da amministratori britannici versati nell'etnologia, come L. H. Hutton e J. P. Mills; oggi il governo dell'India, che non vuol esercitare alcuna coercizione di tipo colonialistico sulle popolazioni primitive del territorio indiano, ma vuol venire incontro alle loro necessità, si prefigge anzitutto di conoscerle il meglio possibile e perciò ricorre anche al servizi di etnologi europei, tra i quali V. Elvio e Ch. von Furer Haimendorft hanno studiato anche i Naga. La civiltà dei Naga è piuttosto omogenea, malgrado le differenze culturali tra un popolo e l'altro (p. es. i Konyak-Naga e una parte dei Rengma-Naga vivono praticamente nudi, mentre gli altri -Angami-, Sema-, Lhota-, Ao-Naga, ecc. -sono vestiti). Qui, fedeli al criterio di presentate la religione di un solo popolo alla volta, scegliamo gli Ao-Naga, seguendo la monografia di Mills (1926). Certo, gli Ao-Naga sono da considerarsi come un solo popolo, benché esso sia composto da tre gruppi etnici e linguistici che, divisi in clans e fratrie (gruppi di clans con particolari legami tra di loro), conservano tradizioni e istituzioni proprie: i Chongli, i Mongsen e i Changki. La complessità del quadro delle istituzioni Ao, dovuta a questa situazione etnica, aumenta ancora, quando osserviamo che l'unità politica fondamentale di questo popolo, il villaggio, è ugualmente un'unità composta, in quanto ogni villaggio include in sé più di un khel -villaggio nel villaggio, con amministrazione propria -mentre ciascun khel ha di solito più di un morung (specie dì ' casa degli uomini " v. sotto) e la posizione di un individuo è determinata anzitutto dalla sua appartenenza a un morung. Morung, khel e villaggio hanno, a tre livelli differenti, la propria amministrazione che provvede anche alla giustizia. I villaggi, costruiti in posizioni difficilmente accessibili, sono anche ' fortificati contro le imprese dei cacciatori di teste di altri villaggi o popoli: la restaurazione annuale del recinto del villaggio dava occasione a una festa pubblica; i morung venivano ricostruiti, tra solennità, ogni sei anni, in corrispondenza al ritmo delle classi d'età: infatti, i morung ogni tre anni accoglievano una nuova classe di giovani (tra i 12-14 anni) che per tre anni servivano i più anziani e per altri tre anni venivano serviti dalla classe successiva. L'economia degli AoNaga è fondata sulIa coltivazione del riso che è l'alimento-base del popolo. Esso è integrato dall'allevamento: di bovini (per la sola carne: non conoscono la mungitura), tra cui, in misura assai ridotta, i mithan (una specie bovina che serve soprattutto a fini sacrificali, v. sotto) che preferiscono comprare dai vicini, di molti maiali, poche pecore, più capre, polli e cani (di cui mangiano i cuccioli). Inoltre, su scala ridotta, gli Ao praticano anche la caccia e la pesca. Gli Ao conoscono la tessitura (riservata alle donne), la ceramica (riservata alle sole donne Changki), l'intaglio del legno, l'intreccio (soli maschi) e, circa da 8-9 generazioni, anche la metallurgia, probabilmente importata da stranieri, perché tuttora limitata ai discendenti di certe famiglie (probabilmente immigrate); anche oggi, di preferenza, gli Ao acquistano per via di commercio anche i dao, specie di spade ma con funzioni di strumenti universali. Nel commercio essi si servono ormai del denaro vero e proprio, ma esistono ancora forme di moneta tradizionali (dischi di ottone, pezzi di ferro a forma di dao, ecc.) ed è in largo uso il baratto (sale contro cotone e manufatti della pianura). Quanto alla società Ao-Naga, rammenteremo tre sue caratteristiche importanti: 1) la base della organizzazione sociale è l'età: i giovani usciti dal morung si sposano e a una certa età diventano 'consiglieri'; tra i 'consiglieri' più anziani vengono scelti poi i sacerdoti (v. sotto); 2) ma se l'età apre la strada verso le funzioni pubbliche, la ricchezza assicura un prestigio particolare; i ricchi non vendono il loro soprappiù di riso -ciò che li farebbe apparire poveri, bisognosi di guadagnare -ma lo prestano con interesse ai poveri, e ostentano i loro magazzini pieni di riso diventato immangiabile lungo gli anni e decenni; solo una certa ricchezza permette di compiere i sacrifici di mithan (v. sotto) che assicurano prestigio nella vita e dopo. (Vi è un'estrema varietà nell'abbigliamento e negli ornamenti personali degli Ao-Naga; l'appartenere a una determinata fratria, la residenza in una determinata località, i successi nella caccia alle teste, il numero dei sacrifici di mithan offerti dalla persona, da suo padre e da suo nonno -ognuna di queste cose dà diritto a portare questo o quell'ornamento, disegno o colore nelle vesti, ecc.); 3) La posizione delle donne nella società è eccellente; i lavori più pesanti sono fatti dagli uomini; le ragazze nei loro dormitori ricevono le visite dei giovani del morung e scelgono tra questi liberamente l'amante; tra gli amanti poi scelgono successivamente il marito e se il matrimonio, malgrado la libera scelta e l'esperienza prematrimoniale, dovesse riuscir male, vi è la massima facilità nel divorzio. La guerra presso i Naga, in generale, consiste nella caccia alle teste, ma con essa entriamo già in un campo più propriamente religioso.
La religione. -Per cominciare con l'argomento cui si è già accennato, bisogna precisare: non è la guerra che possa assumere o assuma regolarmente la forma della caccia alle teste, ma è la caccia alle teste che può condurre anche alla guerra o può svolgersi in forma di guerra. In realtà, essa non è necessariamente legata alla guerra, né il suo valore è da cercarsi nella gloria di rischiose imprese belliche: la testa può esser acquistata anche mediante imboscate e tranelli, può essere quella di una donna indifesa o anche di un ospite aggredito a tradimento; essa ha un valore in sé: il suo possesso, comunque acquisito, assicura fertilità, figli, successo nella caccia; un particolare rapporto con la fertilità agraria appare dal fatto che a ogni raccolto le primizie vengono strofinate con la testa posseduta. L'acquisto di teste dà un prestigio personale a chi lo compie: un prestigio che la società gli conferisce in considerazione del bene che a tutto il gruppo ne deriva; d'altra parte, però, il cacciatore di teste trae anche vantaggi personali dal proprio successo, proiettati anche nell'al di là (la persona uccisa e rimasta senza testa non può entrare nell'al di là finché il possessore della sua testa non muore e non porta con sé la testa che, infatti, lo accompagna fino alla tomba, dove viene appesa; entrata, con l'aiuto del proprio uccisore, ne diventa il servitore). Questa simultaneità del vantaggio per il gruppo e del prestigio personale appare anche nell'altra istituzione caratteristica dei Naga, nelle c.d. 'feste di merito' (termine convenzionale entrato nell'uso etnologico), accentrate intorno al sacrificio di mithan, da cui deriva prestigio al celebrante, ai suoi discendenti, al suo clan e al villaggio intero, e deriva anche l'aren, una' forza' immanente che garantisce la prosperità.


Ragazza naga con abito festivo

È ambizione di tutti poter celebrare' feste di merito '. Lo possono fare solo uomini sposati. La festa richiede preparativi gravosi, con l'accumulazione di ingenti quantità di cibi, per la quale vi è bisogno della collaborazione di almeno due ' amici formali ' (uomini di altri villaggi e clan con cui si è ritualmente stretto un legame tale da render incesto il contatto sessuale o il matrimonio tra i rispettivi discendenti e che esclude reciprocamente ogni aggressione mirante alla caccia alle teste). Il rituale si articola in due parti, ciascuna dalla durata di 5 giorni; la prima, imperniata sul sacrificio di un toro, è considerata come preliminare, la seconda che culmina nel sacrificio di un mithan è quella principale. Alcune caratteristiche del rituale appaiono interessanti e richiederebbero un'interpretazione approfondita: p. es. l'impressionante crudeltà con cui le vittime vengono torturate prima di essere uccise (ma i Naga anche in atti di culto molto meno importanti spennano vivo un pollo durante la invocazione, quasi che la sofferenza della vittima fosse necessaria per darle efficienza sacrificale ) o anche il fatto che il datore della festa e sua moglie non assistono al sacrificio stesso, ma dopo aver cosparso la vittima con' acqua, vino di riso, sale, penne del pollo spennato, e pezzetti di pesce (cioè tutti gli elementi principali dell'alimentazione Naga! ) si ritirano nella propria casa, né successivamente devono mangiare della carne della vittima. Ma un carattere particolarmente importante della festa di merito consiste nel fatto che essa, pur essendo celebrata su iniziativa di un individuo e nel proprio interesse di questi, assume chiaramente la fisionomia di una festa pubblica, in quanto non solo la dirige il sacerdote del clan cui l'individuo appartiene, e non solo a tutti i membri del clan vengono offerti cibi, ma quest'offerta è estesa anche a singoli rappresentanti di tutti i clans e ai consiglieri del villaggio.
Con tre feste di merito date durante la vita, l'Ao-Naga raggiunge l'apice della propria posizione nella società (più di tre possono offrirne solo gli uomini Chongli). A proposito del sacrificio di mithan, vale la pena di ricordare una credenza degli Ao: ogni persona ha una specie di 'alter-ego' nel cielo, il tiya; uomo e tiya hanno, ciascuno, le proprie anime; ora, una delle anime dell'uomo è un mithan celeste (e un sacrificio del mithan celeste costa la vita all'uomo), mentre un'anima del tiya è un mithan terrestre: perciò nel sacrificio del mithan il sacerdote inganna le potenze celesti, annunciandolo per un dato giorno, ma compiendolo un giorno prima, affinché il tiya non faccia in tempo ad impedirlo.
Accanto alle celebrazioni occasionali legate alla caccia alle teste e alle feste di merito, gli Ao-Naga hanno numerose feste , calendariali " legate strettamente alle varie fasi della coltivazione del riso. Ma solo alcune di esse assumono un preciso carattere di festa pubblica, quasi nello stesso senso e nella stessa forma in cui le feste pubbliche si celebrano nelle civiltà superiori; così, la festa Moatsu, celebrata al termine della semina, ha caratteri molto interessanti: preceduta da una notte di astinenza, essa dà luogo a una certa licenza orgiastica; gli uomini rinnovano la cintura dei loro dao, appositamente preparate dalle loro mogli o amanti; in quest'unica occasione all'anno, ogni Ao può vestirsi come vuole, in dispregio delle rigide norme che fissano i diritti ai singoli ornamenti, colori, ecc.; e in quest'unica occasione nessun Ao può esser multato per trasgressioni. Si tratta di una sospensione rituale dell'ordine' (come p. es. nei Saturnalia romani celebrati, si noti, ugualmente dopo la fine della semina!). Un'altra festa importante, l'Aobi, ha luogo prima dell'inizio dei lavori agrari, con cui si chiude bruscamente la stagione in cui gli Ao viaggiano, commerciano, ecc. La festa ha un netto carattere di purilicazione: un sacerdote va in giro di casa in casa con una cesta in cui ognuno depone un po' d'immondizia, augurandosi che “ ciò porti via ogni male ". Il sacerdote poi scarica la cesta in un fiume fuori dell'abitato, dove, del resto, ha luogo un sacrificio la cui vittima viene consumata sul posto; un bastone viene posto attraverso la strada che porta al villaggio e si crede che il primo straniero che si trovi a passare di là, porterà con sé tutta l'impurità espulsa dall'abitato.
Una terza grande festa, celebrata a turno dai villaggi dopo la fine dei lavori agrari, è iI Tsungremmung, cioè la festa dei tsungrem, un termine che provvisoriamente si può rendere con , spiriti', ma noi sappiamo già che con questa parola si indicano idee assai differenti. L'idea di tsungrem, stando alla nostra fonte, appare piuttosto vaga, come vaga è, in generale, l'idea del destinatario o dei destinatari dei più diversi atti sacrificali; i più importanti di questi vengono spesso introdotti da invocazioni rivolte al sole e alla luna, ai tsungrem e al tiya. Dal fatto che i riti agrari privati vengono dedicati agli antenati della famiglia, mentre quelli compiuti dal sacerdote agli ' spiriti' (tsungrem) del villaggio, si potrebbe dedurre un'affinità tra queste due collettività venerate (nel senso, p. es., che i tsungrem fossero gli antenati di tutto il villaggio). D'altra parte, tra i tsungrem anonimi spicca uno, concepito come il più grande di essi, con il nome personale di Lichaba che figura anche come creatore; egli occupa una posizione di rilievo nella festa Tsungremmung in cui si espongono per lui pezzi di carne di maiale nelle case che si trovano ai vari limiti del villaggio, con l'intenzione di farglieli trovare da dovunque egli voglia entrare, in quell'occasione, nell'abitato. Ora, quanto agli antenati, questi non hanno un culto molto appariscente presso gli Ao-Naga: eppure, da alcuni elementi della religione si può dedurre una certa importanza di questo culto. Il trattamento dei morti -che vengono esposti su piattaforme fuori dell'abitato e poi lasciati lì, indifferentemente, finché le piattaforme non crollano da sé -appare, presso gli Ao, come del resto in molte civiltà, di carattere contraddittorio: uno dei suoi scopi è chiaramente la eliminazione del morto; d'altra parte, sulla tomba del morto si espongono le teste cacciate da lui durante la vita e le immagini delle teste di mithan da lui sacrificati (le teste originali restano nella casa, perché servono anche ai discendenti); inoltre, in tempi passati (e nel periodo cui risale la monografia di Mills, solo in un villaggio), il cadavere veniva conservato, mediante affumicazione, fino al raccolto delle primizie successive al decesso -e in questo tratto, come nella celebrazione dei riti agrari privati in onore degli antenati, s'intravede il già segnalato nesso tra morte e fertilità agraria. Ma il fatto più importante, in questa connessione, è che in un'unica occasione annuale, e precisamente in quella del raccolto, si fanno offerte presso tutte le piattaforme mortuarie intorno al villaggio. Si hanno notizie, inoltre, di sacrifici pubblici in onore di qualche morto particolarmente importante, e gli Ao dicono che l'aren viene soprattutto dagli antenati. Può darsi che un complesso più o meno ben definito del culto degli antenati, presso gli Ao-Naga, sia stato assorbito dalla idea pIU generica dei tsungrem, che abbraccia insieme gli spiriti dei morti, altri spiriti e, infine, il ' più grande' di questi, il creatore.


Collana ornamentale Naga

I momenti salienti e critici della vita individuale degli Ao Naga sono contrassegnati da riti di passaggio. Per non ripetere i tratti più o meno comuni che questo tipo di rito ha nelle più varie religioni, si accennerà solo a qualche elemento particolare. Il giorno successivo alla nascita, il neonato, cui vengono perforate le orecchie, riceve un nome che è sempre quello di un antenato, ad esclusione dei nomi dati a bambini precedentemente morti, dei caduti in guerra e dei morti con morte apatia (v. sotto); ogni individuo ha più nomi, uno dei quali segreto per gli stranieri. Le iniziazioni, per i maschi, consistono nei sei anni passati nel morung; anticamente, l'assunzione al morung era condizionata a prove di resistenza e durante i primi tre anni i ragazzi dovevano subire molti maltrattamenti; per le femmine, il passaggio all'età adulta avviene mediante il tatuaggio che si completa in cinque operazioni separate l'una dall'altra da un anno di distanza; le operazioni vengono compiute da una tatuatrice specializzata, nella stagione invernale, fuori dell'abitato (nella giungla); conseguenza dell'iniziazione, anche per le femmine, è il riconoscimento del loro inserimento nella società, ma anche l'accettazione di determinati tabu alimentari definitivi che segnano il passaggio dalla libertà incondizionata dell'infanzia a un cosciente adattamento all'ordine disciplinato dell'esistenza sociale. Della morte si è già parlato, salvo della morte , cattiva " di ciò che gli Ao chiamano morte apotia. Questa è, per cosi dire, la morte' innaturale', causata cioè da incidenti (la fine degli annegati, caduti da alberi, morsicati da serpenti, divorati da belve, periti in incendio e, per le donne, anche la morte nel parto). La morte apotia porta in rovina tutta la famiglia che, dopo aver distrutto quanto possedeva e ucciso gli animali domestici, deve abbandonare casa e villaggio e ritirarsi nella giungla, dove, per un certo periodo, può vivere solo della carità di congiunti e amici; il morto stesso subisce una damnatio memoriae nel senso che il suo nome non verrà pronunciato (nemmeno -nel caso che egli abbia celebrato feste di merito nell'elenco di quegli antenati che un datore di festa di merito ricorda regolarmente come suoi predecessori nel celebrare la stessa solennità); la morte apatia, se prevista (per sogni o divinazione), può esser evitata mediante sacrifici. I sacrifici si susseguono anche in caso di malattia: è soprattutto in tale occasione che entra in scena lo stregone (maschio °femmina), una figura totalmente differente da quella del sacerdote, che, come si è visto, è eletto tra i consiglieri anziani, cioè è un funzionario addetto alle normali attività sacrali, quale rappresentante del gruppo. Lo stregone invece agisce solo in casi ' anormali ' come la malattia di cui deve determinare la causa e trovare la cura. Cause della malattia possono essere: un tsungrem che trattiene l'anima, i morti che cercano di attirare la persona nel loro mondo, la vendetta della selvaggina (cfr. popoli cacciatori!), certe parole casualmente pronunciate e magicamente efficaci, lo spirito personale dell'ammalato (v. sotto) e, infine, il tiya che sta per sacrificare il mithan celeste. È da sottolineare che in quest'ultimo caso, ma solo in questo, lo stregone Ao agisce come uno sciamano, cade in trance e compie un viaggio in cielo, che successivamente racconta con ogni dettaglio. Per il resto, lo stregone è chiaroveggente (individua i ladri, il luogo della refurtiva, ecc.), ma ha anche un carattere peculiare rispetto ai tipi di stregoni finora visti: egli è in un singolare rapporto di , identità' con una belva (tigre, leopardo): ciò che accade al suo' alter-ego' felino, accade anche allo stregone, e viceversa; se l'animale viene ferito, lo stregone riporterà una ferita identica; la morte dell'animale produce la morte dello stregone, a meno che questi, prevedendola, non faccia in tempo a trasferire la propria identità su un altro animale. Si è accennato allo c spirito personale " specie di genius, -tipo di esseri venerati assai diffuso, in molteplici varietà, nelle religioni delle civiltà primitive e di quelle superiori. Gli Ao-Naga conoscono e venerano uno spirito domestico cui si sacrifica solo al momento della costruzione della casa; ma una specie di culto domestico spetta anche allo spirito personale (kitsung) cui si sacrifica ogni tre anni presso il palo centrale della parete di fondo della casa. Quando però questo kitsung, malgrado il debito culto, si ostina a non proteggere l'individuo cui appartiene, questi può decidere di disfarsene: in tal caso egli andrà in giro per le strade, gridando: " vendesi kitsung, comprate, comprate! », per poi abbandonare il proprio spirito personale in una strada che porta in un altro villaggio, con la finzione che qualcuno di quel villaggio l'abbia comperato. I miti degli Ao-Naga non sono stati raccolti in maniera soddisfacente.
Alcuni di quelli annotati riguardano fatti cosmici, p. es. la troppa vicinanza, in origine, del cielo alla tetra: U bambino dell'eroe vuole giocare con la luna; l'eroe gliela vuoI prendere, ma allora la luna s'allontana; adirato, l'eroe le lancia contro dell'escremento di mithan, per cui la luna si allontana ancora di più, fino alla sua distanza attuale, ma porta le tracce dell'escremento -le caratteristiche macchie visibili sulla superficie lunare. Oppure: il sole, troppo vicino, scottava troppo; rimproverato di ciò si offende e si nasconde, non sorgendo più; allora, i personaggi mirici viventi in quell'epoca mandano da lui vari messaggeri -personaggi dai nomi d'animali per implorare che torni, ma il sole non cede. In ultimo ci va Gallo; anche a lui, il sole si rifiuta di tornare; ma Gallo, raccontando di un feroce gatto selvatico che renderebbe pericoloso il suo ritorno, impietosisce Sole, ottenendo la promessa che, in caso di pericolo, Sole accorrerà in suo aiuto. Su11a via del ritorno, Gallo finge di essere aggredito, grida, e Sole esce dal proprio nascondiglio: da allota, il canto del gallo è regolarmente seguito dal sorgere del sole. Altri miti riguardano l'origine del popolo; vi sono miti dell'emersione della umanità dalla terra; l'ordine in cui i vari gruppi emergono, determina la loro posizione nella società Ao: gli ultimi ad emergere c a sovrapporsi sugli altri sono i Chongli che, infatti, hanno una posizione privilegiata dal punto di vista religioso. Secondo un altro mito, c'erano una volta tre fratelli; il maggiore dormiva sotto una coperta, i due minori sotto un'altra; ma una notte il più piccolo scappa, portando via la coperta destinata ai due: da allora gli Ao Naga (discendenti del fratello maggiore) hanno le vesti necessarie, gli Assamesi (discendenti del più piccolo) hanno una sovrabbondanza di vestiario, mentre i Konyak Naga (discendenti del fratello derubato) vanno in giro nudi.



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