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Chiesa Valdese di Trapani e Marsala - Frazione del pane e non-violenza

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2009 21:19
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Venerdì 06 Novembre 2009

Frazione del pane e non-violenza: La memoria della cena in prospettiva storico-religiosa



Nella seconda parte del nostro studio vorrei provare ad analizzare insieme con voi la relazione che intercorre tra il gesto della frazione del pane che il cristianesimo, sino ad oggi, celebra come atto liturgico, e la tematica della non-violenza. A tale proposito, intendo articolare la mia breve esposizione in tre punti, seguendo un modello, per così dire, «a cerchi concentrici» e procedendo dal più ampio al più ristretto. 

In prima istanza, dunque, vorrei partire da una breve disamina storico-religiosa del gesto liturgico della frazione del pane, in modo tale da sottolinearne gli aspetti rilevanti dal punto di vista socio-antropologico in ordine alla non-violenza che tale gesto sottende. Sotto il profilo della ritualità (categoria entro la quale l'approccio storico-religioso colloca il gesto che è oggetto della nostra analisi) costituisce un'evoluzione fondamentale quella secondo cui la frazione del pane celebrata dal cristianesimo delle origini rompa letteralmente con ogni logica sacrificale propria delle religioni del mondo antico (ivi compresa quella israelitica).

La frazione del pane, secondo le parole che la tradizione neotestamentaria attribuisce allo stesso Gesù, riproduce in maniera simbolica e non cruenta il sacrificio, ponendo fine, in tal modo, alla pratica degli stessi. Molti furono, in realtà, i fattori di ordine storico-politico, sociale ed antropologico che concorsero alla scomparsa di tali pratiche: su tutti, in particolare, la distruzione del tempio di Gerusalemme, nel quale detti sacrifici venivano (ma non ne siamo del tutto certi, per ciò che attiene all'epoca di Gesù) compiuti.

In questo il cristianesimo delle origini portò a compimento un'evoluzione che aveva già avuto inizio all'interno della religione ebraica, alla quale tutti i primi cristiani dell'area palestinese, del resto, appartenevano. In ogni caso è innegabile che la fine del culto sacrificale costituisca un'evidente cesura nell'ambito della storia delle religioni, rappresentando un'evoluzione nella direzione della non-violenza in ordine alla celebrazione liturgica. Secondo una rilettura improntata alla non-violenza, pertanto, la frazione del pane svolge in seno al cristianesimo primitivo le medesime funzioni che il rito sacrificale ricopriva nel culto celebrato dalle religioni antiche: 

A) Quella del dono quale dimensione del rapporto con Dio (riscontrabile nelle parole «per voi» e «per molti» che le due diverse tradizioni neotestamentarie fanno pronunciare allo stesso Gesù)

B) Quella della rielaborazione e del superamento dell'aggressività in seno ad una comunità attraverso la ripetizione non cruenta dell'atto sacrificale, tesa ad evitare il suo verificarsi come gesto violento nell'ambito del vivere quotidiano

C)    Quella della comunione, mediante una equa distribuzione del cibo che il gesto reinterpreta e rappresenta 

Ciò detto, è importante collocare la nascita del rito proto-cristiano della celebrazione commemorativa dell'ultima cena all'interno del contesto culturale e religioso ebraico dal quale Gesù ed il suo movimento provenivano. Anche in tal senso è possibile ravvisare un legame profondo con la tematica della non-violenza. Quando Gesù condivide con i suoi discepoli l'ultimo pasto, lo fa nel contesto celebrativo della Pasqua ebraica (Pesach; si vedano, in proposito, Mc 14:12 ss e paralleli). Tale tradizione è contenuta all'interno della Torah (che la tradizione cristiana nomina Pentateuco), nel libro dei Numeri (in ebraico Bemidbar, «Nel deserto»), al capitolo 28, e in quello del Deuteronomio (in ebraico Devarim, «Parole») al capitolo 15. Riportiamo qui di seguito i testi di riferimento, naturalmente in traduzione: 

Numeri 28:16-25 (Traduzione a cura di Elena Loewenthal)

Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, è la Pasqua del Signore.  Il quindicesimo giorno del mese è festa: per sette giorni si mangeranno le azzime. Il primo di questi giorni è santa celebrazione: non farete nessun lavoro servile. Offrirete un olocausto di fuoco al Signore: avrete due giovani tori e un montone e sette agnelli nati nell'anno, integri. L'offerta sarà fior di farina bagnata d'olio, tre decimi per toro e due decimi per il montone, un decimo farai, inoltre, per ogni agnello, dei sette. Un capro come espiazione per voi. Oltre all'olocausto del mattino, che è olocausto comune, farete questo. Parimenti farete per sette giorni, come pane da bruciare al Signore, aroma grato all'Eterno: farete oltre all'olocausto quotidiano e la sua libazione. Il settimo giorno sarà santa celebrazione per voi: non farete alcun lavoro servile

Deuteronomio 15:1-8 (Traduzione a cura di Elena Loewenthal)

Osserva il mese di Aviv: farai la Pasqua al Signore tuo Dio, perché nel mese della primavera il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire dall'Egitto, di notte. Farai il sacrificio pasquale al Signore tuo Dio: ovini e bovini, nel luogo che il Signore sceglierà come dimora per il suo nome laggiù. Non mangerai con quell'offerta sacrificale alcun cibo inacidito, lievitato: per sette giorni mangerai con esso azzime, cioè il pane dell'afflizione: perché precipitosamente sei uscito dalla terra d'Egitto. Così ricorderai il giorno della tua uscita dalla terra d'Egitto, tutti i giorni della tua vita. In quei sette giorni non si vedrà alcuna cosa fermentata presso di te, in tutto il tuo territorio, né pernotterà fino all'alba successiva la carne che avrai offerto in sacrificio la sera del primo giorno. Non potrai sacrificare l'agnello pasquale entro alcuna porta delle tue città, che il Signore tuo Dio ti ha dato: solo nel posto che il Signore tuo Dio sceglierà come dimora per il suo nome, solo lì potrai sacrificare l'agnello pasquale verso sera, al calar del sole, l'ora in cui sei uscito dall'Egitto. Cuocerai e mangerai nel posto che il Signore tuo Dio avrà scelto, il mattino ti volgerai e tornerai alle tue tende. Per sei giorni mangerai azzime, il settimo giorno ci sarà convocazione per il Signore tuo Dio e non farai alcun lavoro  [Cfr. in proposito anche Es 23:15 e Lev 23:4-9]

Vero e proprio nucleo di questi resoconti è la memoria (resa viva attraverso il gesto) di una libertà ricevuta in dono e che consiste, assai concretamente, nell'uscita da una precedente situazione di schiavitù. Quel che è significativo, a tale proposito, è che detta libertà è stata acquisita senza spargimento di sangue: Israele è un popolo che viene liberato in maniera incruenta e Gesù, nella notte in cui commemora con i suoi la Pasqua, fa memoria di un gesto non violento, di una liberazione che è figlia della fuga e della speranza, non del sangue. 

Un'ultima riflessione vorrei dedicarla al significato che Gesù potrebbe aver conferito al gesto della frazione del pane. Come abbiamo accennato nella prima parte del nostro studio, non possiamo avere alcuna certezza relativamente all'autocoscienza di Gesù: non sappiamo, pertanto, se egli abbia davvero compiuto il gesto della cena come anticipazione simbolica della propria morte. Quel che è assai probabile, però, è che Gesù fosse pienamente consapevole del rischio a cui si esponeva con la sua predicazione ed il suo agire, ancor più recandosi a Gerusalemme, sede di quel potere politico-religioso da lui a più riprese contestato. Due sono, a tale proposito, gli aspetti che vorrei evidenziare in ordine alla nostra riflessione. 

Il primo di essi può essere fatto risalire, con un discreto margine di probabilità, allo stesso Gesù, e concerne il fatto che egli abbia potuto caricare il gesto della celebrazione della cena di una valenza simbolica di tipo «analogico»: ovverosia, esso anticipava di fatto quello che sarebbe stato il banchetto escatologico (ossia quello che verrà celebrato, secondo la tradizione apocalittica, «alla fine dei tempi»), immagine attraverso la quale Gesù, spesso, raffigurava la pienezza dell'avvento del Regno di Dio. 

A tale speranza concreta potrebbero alludere le parole che tanto la tradizione sinottica (Marco, Matteo e Luca) quanto quella paolina riferiscono in conclusione della cosiddetta «istituzione».

Questa è chiaramente un'immagine di non-violenza, figlia, inevitabilmente, di un'equità a lungo violata che, alla fine, Dio ristabilirà. Questo, in concreto, è quanto Gesù ha cercato di realizzare nella sua attività pubblica, anticipando i «segni» del Regno (nel condividere, ad esempio, la mensa con gli esclusi dalla mentalità religiosa del tempo); ed è, anche, quanto chiede ai suoi, a noi, di continuare a praticare: l'accoglienza e l'equa distribuzione, la condivisione, la comunione

Il secondo aspetto, per quanto non sia assolutamente da escludere che si sia trattato di un'interpretazione fatta propria dallo stesso Gesù, riguarda il legame che intercorre tra la celebrazione della cena come evocazione simbolica di una morte violenta e la figura del cosiddetto «servo di 'Adonai» di cui parla il secondo Isaia (capitoli 40-55 dell'omonimo libro profetico). Non possiamo sapere se si tratti di un'identificazione che lo stesso Gesù (in bocca al quale assai spesso, nella tradizione sinottica, compaiono parole tratte da Isaia il profeta) operò o piuttosto di una lettura retrospettiva messa in atto dal cristianesimo primitivo di estrazione israelitica: fatto sta che, dietro la figura di Gesù come messia promesso ad Israele e alle genti, si adombra quella del «servo sofferente», alla luce della quale la vicenda di Gesù venne sin da subito interpretata. Particolarmente significativo, in proposito, è uno di questi «canti», che figura al capitolo 53 del libro profetico e di cui, qui di seguito, riportiamo il testo in traduzione italiana. 

Isaia 53:1-12 (Traduzione TOB)

1 Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2 È cresciuto come un germoglio davanti a Lui, come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere

3 Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo di dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima

4 Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato

5 Egli è stato disonorato per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo, pegno di pace per noi, si è abbattuto su di lui e per le sue piaghe noi siamo stati guariti

6 Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la propria strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti

7 Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca: come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, non aprì la sua bocca

8 Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo: chi si affligge per la sua sorte? Sì: fu eliminato dalla terra dei viventi, fu percosso a morte

9 Gli si diede sepoltura con gli empi, nei suoi morti fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca

10 Ma il Signore ha voluto prostrarlo nella sofferenza: se tu fai della sua vita un sacrificio di riparazione, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni e si compirà la volontà di Dio

11 Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto, Mio servo, renderà giusti molti: egli si addosserà le loro iniquità

12 Perciò Io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, poiché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato tra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti ed intercedeva per i peccatori

Testo abissale, come si vede, del quale non possiamo dare qui un'interpretazione esaustiva e dettagliata. Ciò che ci interessa particolarmente, per ciò che attiene al nostro tema, è il fatto che Gesù, in quest'ottica, incarna una tipologia messianica in cui la violenza viene subita ed accettata. Il Dio che manifesta nel messia di Nazaret il Suo volto è un Dio profondamente non-violento, un Dio che rifiuta la violenza (in cui consiste propriamente il peccato) e, al contempo, se ne fa carico, ribaltandone la logica d'oppressione in intima vicinanza alla vittima ed alla sua travagliata vicenda.

Il Dio biblico ribadisce che il luogo della Sua presenza nel mondo è la situazione di oppressione, dalla quale Egli libera senza rispondere alla violenza con la violenza, ma sposando la causa degli oppressi e riabilitandola, risollevandola. Ogni volta che celebriamo la memoria della cena, siamo chiamate e chiamati a prendere posizione a fianco di chi vede violato, ogni giorno, il proprio diritto: e questo perché Gesù è messia, in primo luogo, degli esclusi, così come il Dio che lo ha inviato è Dio dei diseredati e, soltanto attraverso di loro, anche Dio nostro, nella misura in cui saremo capaci di servire una causa che è sì quella degli oppressi ma, anzitutto e prima ancora, causa di Dio. 

past. Alessandro Esposito 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE (consultabile in lingua italiana)

  • AA. VV. Giudei o cristiani? Quando nasce il cristianesimo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2005

  • AA. VV. Giudei e cristiani nel primo secolo. Continuità, separazione, polemica, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2006

  • BROWN, R.E. La morte del Messia, Queriniana, Brescia, 1999

  • GIRARD, R. La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 1980

  • GIRARD, R. Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, 1997

  • LOEWENTHAL, E. Haggadah. Il racconto della Pasqua, Einaudi, Torino, 2009

  • MEIER, J.P. Un ebreo marginale, 3 voll., Queriniana, Brescia, 2000-2003 (orig. Inglese: A marginal Jew. Rethinking the historical Jesus, New York, 1991-1997)

  • SANDERS, E.P. Gesù e il giudaismo, Morcelliana, Brescia, 2001 (orig. Inglese: Jesus and Judaism, Philadelphia, 1985)

  • SCHÜRER, E. Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo (175 a. C. - 135 d. C.), 3 voll., Paideia, Brescia, 1985-1998 (orig. Tedesco: Die Geschichte des jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu, Leipzig, 1901-1909)

  • THEISSEN, G. Gesù e il suo movimento. Analisi sociologica della comunità cristiana primitiva, Claudiana, Torino, 1979 (orig. Tedesco: Soziologie der Jesusbewegung, München, 1977)

  • THEISSEN, G. Sociologia del cristianesimo primitivo, Marietti, Genova, 1987

  • THEISSEN, G. - MERTZ, A. Il Gesù storico: un manuale, Queriniana, Brescia, 1999 (orig. Tedesco: Der historische Jesus: ein Lehrbuch, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1996) [In particolare il CAP. 13, pp. 499-538]

  • THEISSEN, G. La religione dei primi cristiani, Claudiana, Torino, 2004 (orig. Tedesco: Die Religion der ersten Christen. Eine Theorie des Urchristentums, Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh, 2000) [In particolare i CAP. 6 e 7, pp. 161-209]

STRUMENTI LINGUISTICO-ESEGETICI

  • CORSANI, B. Guida allo studio del greco del Nuovo Testamento, Società Biblica Britannica e Forestiera, Roma, 1987

  • RUSCONI, C. Vocabolario greco del Nuovo Testamento, EDB, Bologna, 1996

  • BERETTA, P. (a cura di) Nuovo Testamento Interlineare Greco-Latino-Italiano, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1991

  • POPPI, A. Sinossi quadriforme dei quattro vangeli greco-italiano – vol. I: Testo, Messaggero, Padova, 1999

  • Didaché. Dottrina dei dodici apostoli, Paoline, Roma, 1984

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