| | | OFFLINE | Post: 1.295 Post: 171 | Registrato il: 25/10/2008 Registrato il: 02/11/2008 | Sesso: Maschile | Occupazione: Educatore | Moderatore CristianiEcumenici | |
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28/12/2008 20:35 | |
Ogni bambino impara a scuola che il movimento è qualcosa di relativo che si può percepire soltanto in rapporto a un punto di riferimento. Ma non tutti riescono a convincersi che questo principio vale praticamente per ogni percezione e quindi per ogni rapporto dell'uomo con la realtà. Ricerche sul cervello e sugli organi sensori hanno dimostrato in modo decisivo che possiamo percepire soltanto le relazioni e i modelli delle relazioni in cui si sostanzia la nostra esperienza. Se con un espediente blocchiamo il movimento dell'occhio in modo che la stessa immagine continui ad essere percepita dalle stesse zone della retina non si può più avere una chiara percezione visiva. Analogamente, è difficile percepire un suono costante e regolare; è anzi probabile che il suono diventi del tutto impercettibile. Se vogliamo farci un'idea della durezza e della trama di una superficie non basta metterci sopra un dito ma bisogna farlo scorrere avanti e indietro, perché se non lo muoviamo non possiamo ricevere nessuna informazione utile, fuorché forse sulla temperatura che d'altronde dipenderebbe dalla differenza esistente tra la temperatura dell'oggetto e quella del dito. Possiamo fare molti altri esempi, ma tutti confermerebbero che in qualche modo le percezioni implicano un processo di cambiamento, movimento, o scansione (132, p. 173). In altre parole, sulla base di prove estremamente ampie, è stato possibile stabilire e astrarre una relazione che a nostro parere è identica al concetto matematico di funzione. Ne consegue che la sostanza delle nostre percezioni non è costituita da 'cose' ma da funzioni; e come abbiamo visto le funzioni non sono grandezze isolate ma "segni per un nesso... per una infinità di situazioni possibili di uno stesso tipo...". Ma se le cose stanno così, non deve più sorprenderci neppure che la consapevolezza che l'uomo ha di se stesso è sostanzialmente una consapevolezza delle funzioni, delle relazioni in cui si trova implicato, e qui non ha importanza quanto egli possa successivamente reificare tale consapevolezza.
(Watzlawick, Beavin, Jackson, 21, 2008) |
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